Intervento di apertura domenica 6 luglio a Schio

Intervento PRC – Commemorazione eccidio di Schio – 7 luglio

Compagne e compagni,cittadine e cittadini antifascisti, siamo qui oggi, ancora una volta, a ricordare. Ma noi non vogliamo limitarci al ricordo: vogliamo denunciare, vogliamo schierarci, vogliamo organizzarci.

Schio era una città martoriata, ferita, dove la presenza fascista aveva lasciato segni profondi: rastrellamenti, delazioni, torture. Il carcere di Schio – quel carcere – era stato luogo di repressione violenta contro i partigiani, e molti di quelli che lì erano detenuti il 7 luglio, pochi mesi prima indossavano la camicia nera e servivano l’occupante nazista.

La Resistenza non fu un pranzo di gala. Fu una guerra di liberazione. Una guerra contro il fascismo, contro i nazisti, contro chi aveva ridotto l’Italia a una caserma e un campo di concentramento. Schio, come tutto l’Alto Vicentino, fu terreno vivo di quella lotta.

E qui voglio ricordare il partigiano Giacomo Bogotto, sepolto ancora vivo qui, dietro a questo muro, dopo essere stato barbaramente torturato dai fascisti, pochi giorni prima della Liberazione di Schio.

E non possiamo non ricordare con profondo rispetto e gratitudine il lavoro prezioso dello storico e scrittore scledense Ugo De Grandis, che con rigore e coraggio ha ricostruito la memoria della guerra e della Resistenza in questa valle. Un lavoro scomodo per chi vuole “addolcire” il passato, ma fondamentale per chi – come noi – non intende cedere nemmeno un centimetro alla memoria condivisa fondata sul silenzio e sull’ambiguità.

Nel 2005, a Schio, fu firmato un patto di concordia civica. A parole doveva servire a unire la città, in realtà segnava un passaggio politico preciso: la resa culturale e politica di una sinistra che aveva smesso di essere comunista. Il vecchio PCI, già trasformatosi nei Democratici di Sinistra, si preparava a diventare Partito Democratico: cioè un partito normalizzato, piegato alle esigenze di governo, pronto a cancellare le sue radici per abbracciare la socialdemocrazia più moderata, più rassicurante, più compatibile.

In quegli anni, uno degli episodi chiave fu il discorso di insediamento di Luciano Violante, il 10 maggio 1996, quando diventò Presidente della Camera. Da uomo cresciuto nel PCI, salì a quel pulpito e chiese di riflettere sui “vinti” della Repubblica Sociale. Disse che bisognava sforzarsi di capire perché tanti giovani avevano scelto Salò. Parole ambigue, pericolose, pronunciate con la solennità di chi rappresenta le istituzioni.

E sapete chi si alzò per ringraziarlo? Mirko Tremaglia, ex repubblichino, fascista fino all’ultimo giorno. Gli disse: “Grazie, Presidente. Questo è il segnale di pacificazione che aspettavamo da 50 anni.”

Ecco, quel giorno si è aperto il vaso di Pandora. E da allora è stato un susseguirsi di revisioni, falsificazioni, rovesciamenti.

Nel 2004 hanno istituito il Giorno del Ricordo, e solo Rifondazione Comunista ha votato contro. Non perché ignoriamo le sofferenze delle popolazioni dell’alto Adriatico, ma perché quel giorno è servito e serve tuttora a mettere sullo stesso piano vittime e carnefici, a criminalizzare i partigiani titini e quindi il comunismo, a riscrivere la storia che piace alla destra, questa storia che piace alla destra è raccontata nel film Rosso d’Istria (2018) maestro del rovescismo storico dove i nazisti passano per i buoni.

Nel 2019 il Parlamento Europeo ha avuto l’ardire di equiparare nazifascismo e comunismo. Come se chi ha lottato contro Hitler fosse uguale a chi lo ha aiutato a prendere il potere. Come se i partigiani fossero uguali ai repubblichini. Uno schiaffo alla verità e alla dignità della nostra storia.

E oggi? Oggi abbiamo Ignazio La Russa Presidente del Senato. Uno che tiene il busto di Mussolini nel suo studio. Uno che non ha mai condannato il fascismo, anzi, lo rivendica. Ma nessuno, nei palazzi, sembra scandalizzarsi.

Oppure c’è l’ex Assessore Donazzan, ora parlamentare europeo, che ritiene che la lotta partigiana costituì la premessa del terrorismo rosso.

Abbiamo Fratelli d’Italia al governo, un partito che evidenzia forti radici con quel neofascismo italiano della seconda metà del novecento, a sua volta erede dichiarato della Repubblica Sociale. Un partito, FdI, che trasforma la nostalgia per la RSI in ansia di rivincita sulla Repubblica nata dalla Resistenza. Un partito che, col decreto sicurezza, mostra il volto autoritario di una democrazia sempre più fragile che sta scivolando pericolosamente in un piano inclinato verso uno Stato che reprime, controlla, punisce.

Oggi abbiamo il ministro Valditara che sanziona i docenti che lo criticano, e lancia una fatwa verso gli editori che pubblicano libri di storia per le scuole non allineati con le volontà del governo.

Compagne e compagni, noi non possiamo accettare la logica della memoria “condivisa”, della pacificazione a tutti i costi, della Resistenza raccontata come se fosse una tragedia greca, dove non esistono giusti e sbagliati. Non ci può essere parità tra i partigiani che combattevano per la libertà e i repubblichini che stavano con i nazisti. Non c’è zona grigia. Non ci sono due verità.

E Schio, per quanto doloroso, va compreso in questo contesto: fu la coda violenta di una guerra civile, di una liberazione incompiuta, di un Paese dove troppi fascisti non pagarono mai il conto. Di un Paese che amnistiò velocemente i repubblichini, reintegrò i gerarchi fascisti, e anche quelle figure apicali (giudici) che avevano servito il regime, un paese che diede ai boia una seconda carriera.

Noi ricordiamo i fatti del 7 luglio con rigore storico, ma rifiutiamo ogni strumentalizzazione. Rifiutiamo l’ipocrisia di chi si commuove oggi,  e ieri taceva di fronte agli omicidi, alle torture, ai rastrellamenti, agli eccidi nazifascisti.

Noi siamo dalla parte dei partigiani. SEMPRE. Di chi ha scelto la lotta. Di chi ha combattuto per un’Italia diversa, comunista, libera.

E oggi più che mai dobbiamo ripartire da lì. Perché il fascismo non è morto: sta  nei decreti, nei manganelli, nella propaganda, nella repressione sociale, nel riarmo, nella distruzione dello stato sociale, nelle pensioni che non crescono come l’inflazione. Ma noi ci siamo. E non arretriamo.

Ora e sempre, Resistenza. Ora e sempre, comunismo. Ora e sempre, antifascismo.

Enrico Zogli, cosegretario del circolo di Vicenza, Gramsci-Giuliani